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Ferragnez:non solo gossip.

Data: 06/09/2018
Categoria: Altre News

La coppia più celebre del web ha deciso di lanciare, in occasione delle loro nozze, una campagna di raccolta fondi per una causa meritevole, ma senza una onlus. La notizia dai rotocalchi rosa è saltata di piano, aprendo un ampio dibattito sul fenomeno delle donazioni e della disintermediazione, sul perché del flop riportato dall'iniziativa VIP e sulla differenza tra fundraising, beneficienza e marketing

Sul portale “Go fund me” i novelli sposi, un mese fa, hanno lanciato il crowdfunding “The Dream: Chiara&Federico” in cui spiegavano «In occasione del loro matrimonio, Chiara&Federico desiderano aiutare una causa speciale, selezionandola fra quelle che riceveranno all'email dedicata. Gli invitati al matrimonio, e chiunque altro lo vorrà, potranno perciò inviare il loro regalo di nozze qui :)». Il risultato è stato ben poca cosa: 36mila euro raccolti da 81 donatori in un mese a fronte di un goal di 50 mila euro. Tra le molte voci si è levata quella di Valerio Melandri, fondatore del Festival che ha stigmatizzato « preoccupante l’aver tagliato fuori dall’operazione ogni realtà sociale, come sta accadendo sempre più spesso negli Usa». Invece Massimo Coen Cagli, direttore scientifico della Scuola di Roma Fund-Raising, spiega perché la scelta è stata giusta  «Se si vuole fare una vera raccolta fondi si ha bisogno di progetti e quindi organizzazioni. Se invece si vuole fare solo marketing è giusto che sia a titolo personale», e in un intervista al portale Vita.it spiega le sue ragioni.

Cosa ha pensato dell’iniziativa dei Ferragnez?
In realtà, prima che Vita se ne occupasse, l’avevo bollata come una notizia di poco conto. Poi però si è generato un dibattito interessante. Quello che posso dire è che ho trovato utile e chiarificatore l’intervento di GoFundMe

Perché?
Hanno fatto capire in modo molto chiara la differenza tra fundraising, beneficienza e marketing

E dove sta la differenza?
Si lega fortemente al tema della disintermediazione di cui parlava Melandri. Se parliamo di fundraising allora parliamo di qualcosa che mira a obiettivi alti, in grado idealmente di cambiare il mondo. Per farlo c’è bisogno di progetti e professionalità e quindi c’è bisogno delle organizzazioni, quindi non ci può e non ci deve essere disintermediazione. È un terreno che non può infatti fare a meno di alcune condizioni che nella campagna dei Ferragnez non c’erano: la causa sociale, una dimensione organizzativa all’altezza e una strategia sul medio e lungo termine che renda anche verificabili i risultati.

Ma, come ricordavi, la loro iniziativa non era fundraising…
Esatto. Siccome i Ferragnez non hanno fatto questo tipo di operazione la loro azione rientra nelle altre due categorie: beneficienza o marketing. Per quanto riguarda la prima si parla di un gesto personale per cui la presenza o il conivolgimento delle organizzazioni è indifferente. Se parliamo della seconda, quindi di operazioni di comunicazione, addirittura è meglio che ci sia una totale disintermediazione rispetto al terzo settore. 

Anche se, rispetto al tema dell’obiettivo, i Ferragnez hanno chiesto al pubblico di segnalare dei possibili beneficiari e ne hanno ricavato 15mila segnalazioni…
Si hanno ricevuto molte più segnalazioni che donazioni. Su questo ci sono due cose importanti da dire. In primo luogo resta il fatto che è un’operazione che ha usato i mezzi di comunicazione online e in particolare i social che ha prodotto 36mila euro. Tenuto conto che ci sono due donazioni di 10mila euro rimane, che ne dicano gli amici di GoFundMe, si tratta di un risultato molto poco positivo. In secondo luogo, con tutto il rispetto per Fedez e Ferragni, è vero che sono dei mostri di marketing, ma se vogliono fare filantropia e beneficienza, hanno ancora molto di imparare. C’è un aspetto in particolare che dimostra quello che sto dicendo…

Quale?
A fronte di 15mila segnalazioni o richieste chi deciderà a chi donare quell’importo? Su che basi? Con che competenze? Per altro senza un bando o una cornice preordinata. Sarebbe curioso sapere chi analizzerà tutti gli imput arrivati, perché dubito saranno loro, e con che criterio decideranno chi è il “migliore”. È una responsabilità non di poco conto.

E rispetto al tema della disintermediazione che sollevava Melandri anche lei vede questo grande rischio?
Melandri ha ragione. Sicuramente esiste il fenomeno delle organizzazioni che hanno aumentato troppo la dimensione burocratica molto pesante. Però bisogna stare attenti a non cascare nel luogo comune populista: per fare le cose fatte bene bisogna organizzarsi. Per dirla in modo più romantico: per cambiare il mondo non si può fare a meno del livello organizzativo. Poi che esista un problema di management delle organizzazioni di terzo settore è fuori di dubbio.MMB

 



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