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Storie di migrazioni inverse, chi sceglie di andar via dall’Italia.

Data: 22/07/2018
Categoria: Altre News

La onlus Percorso Vita , racconta come i migranti dopo un doloroso percorso scelgano la strada del “Programma di rientro volontario assistito”. Sono sempre di più e con l’aiuto delle associazioni e dei contributi aprono piccole attività nei loro Paesi d’origine.

"Sono stanco, qui non ho trovato quello che cercavo, e i miei genitori in Africa hanno bisogno di me». A pronunciare queste parole, cariche di nostalgia e dolore, è Amoako Kwadwo,19enne originario del Gambia. Che, dopo due anni a Padova, ha scelto di fare ritorno nella sua terra. Un desiderio realizzato grazie al supporto della onlus Percorso Vita, che l’ha inserito nel “Programma di rientro volontario assistito” del ministero dell’Interno. Grazie a fondi europei veicolati dal Viminale, il giovane ha ricevuto un contributo per il viaggio e 1.800 euro (1.400 dell’Unione Europea, 400 erogati dalla onlus e dal ministero) per acquistare cinque mucche, avviare un allevamento nel suo villaggio e sostenere i costi dell’affitto della sua abitazione. A raccontarne la sua epopea è il Gazzettino. Il peregrinare del ragazzo verso l’Italia è durato 24mesi: dopo una lunga traversata del deserto, Kwadwo ha fatto i conti con la dura esperienza del carcere libico. Infine lo sbarco a Lampedusa e l’arrivo a Padova. Molto presto il giovane si è però reso conto che il suo futuro non stava andando nella direzione che gli era stata prospettata. Per mesi ha sbarcato il lunario raccogliendo patate per due aziende agricole della zona, un lavoro da semischiavo con paghe da fame.

E le storie simili a quella di Kwadwo sono tante. Storie di delusione e sfruttamento, disoccupazione e vita ai margini, col rischio di finire nelle maglie delle organizzazioni criminali. A raccontarle è don Luca Favarin, presidente della onlus Percorso Vita. Ad oggi le nove strutture del padovano legate alla onlus ospitano 140migranti, la maggior parte di loro ha un contratto di lavoro a tempo determinato. Molti di essi sono impiegati in due ristoranti della zona. «Queste persone vanno inserite in un percorso che prevede l’insegnamento dell’italiano ed esperienze di lavoro. Valutando i singoli casi, siamo noi stessi a chiedere ai ragazzi se quello che stanno facendo li soddisfa o se passano le giornate a fare niente». Nel secondo caso si procede con il rimpatrio volontario, offrendo ai migranti un aiuto concreto per sostenersi nei loro Paesi di provenienza. «È molto frequente che i ragazzi pensino a fare ritorno in Africa» rivela Favarin. Due settimane fa, per esempio, a lasciare l’Italia e stato un ragazzo della Nigeria. Era stato spinto ad allontanarsi dal suo Paese di origine perché suo padre era entrato in contrasto con un politico influente, questioni legate al possesso di terreni. Morto il genitore, la minaccia è venuta meno e - grazie al Programma di rimpatrio assistito - il giovane ha avuto la possibilità di aprire un piccolo negozio di generi alimentari nel suo villaggio ,ubicato nell’Edo State(Nigeria meridionale). Una dinamica da tenere in considerazione è quella innescata dalla piaga del caporalato, presente anche in Veneto: decine di migranti vengono prelevati nottetempo dalle comunità e spinti a lavorare senza alcuna tutela, in una condizione di semi schiavitù. Un destino toccato in sorte a un ragazzo del Camerun, impiegato nella raccolta di pomodori per pochi euro al mese, con turni di lavoro sfiancanti. Così che nel migrante è maturata la volontà di fare ritorno al  luogo natio, dove oggi si dedica in proprio all'agricoltura coltivando grano e ortaggi.

Stessa cosa per un ragazzo del Ghana: approdato sulle nostre coste con la speranza di  trovare il benessere ,ha attraversato una via crucis che tra le sue tappe prevedeva la raccolta di asparagi, la pulizia di alleva menti di polli e tacchini nelle campagne venete, la raccolta del basilico. Oggi il ghanese ha messo in piedi un allevamento da lui gestito in loco. «Un’altra storia simile - aggiunge Favarin - è quella di un senegalese che, sfuggito allo sfruttamento nostrano, è tornato in Senegal, comprato una barca e avviato un’attività di pesca che oggi dà lavoro a nove persone». Nel 2018 sono stati circa 1200i casi di rimpatrio volontario.MMB

 

Fonte: Libero –AE Capelli

 



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