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Reclusi. Il carcere raccontato alle donne e agli uomini liberi

Data: 28/05/2018
Categoria: Un libro a settimana

Il compito della giustizia non è la vendetta, ma il ravvedimento, la rieducazione e, in caso di successo, il reinserimento sociale. Per questo la galera deve poter essere il luogo dove riflettere su se stessi, dove ritrovare la voglia di esistere e darsi delle regole.

È un libro che coniuga con grande efficacia lo studio scientifico della società con il lavoro quotidiano della Polizia penitenziaria. Uno spaccato a più voci su “quello che c’è dentro”, uno sguardo negli abissi della natura umana. Chi non è mai entrato in un carcere immagina i detenuti come tanti dannati dell’Inferno dantesco, schiacciati dal peso dell’errore commesso. I giornali parlano di sovraffollamento e Papa Francesco ricorda continuamente l’importanza di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana.

Chi come noi è convinto dell’origine ambientale del male, pensa che non esistano persone geneticamente predisposte al delitto, ma persone psicologicamente più fragili, spesso spinte al crimine da fattori esterni, come la famiglia, la cultura, il disagio sociale o psichico. Se si accetta questo presupposto scientifico, si è consapevoli che il compito della giustizia non è la nemesi, la vendetta, ma il ravvedimento, la metanoia, e dunque la rieducazione e, in caso di successo, il reinserimento sociale.

Bisogna provarci, anche se ci sono detenuti che sfuggono alla possibilità del ravvedimento, avendo giurato fedeltà a un’organizzazione mafiosa che non consente deroghe alla dissoluzione anticipata del contratto di status.
Più volte, è stata proposta l’idea di impegnare i detenuti in attività lavorative, suggerendo la modifica della legge sul lavoro stipendiato nelle carceri. Ma, nonostante le statistiche confermino l’importanza dell’occupazione sia come garanzia di riabilitazione sia come calo delle recidive, sono ancora proposte ignorate. Purtroppo, quasi l’80% dei detenuti continua a guardare il soffitto della cella.

Una brava giornalista come Milena Gabanelli, durante una puntata di Report, ha suggerito di cambiare la norma, «ispirandosi ad alcune felici esperienze del Nordamerica, dove l’amministrazione penitenziaria calcola lo stipendio, ma lo trattiene a compensazione delle spese di mantenimento, lasciando [ai detenuti alcune decine di dollari] per le piccole necessità e concedendo [loro] benefici e sconti di pena». Un sistema che ha incentivato il detenuto a darsi da fare, favorendone il reintegro attraverso l’apprendimento di un mestiere, e consentendo al sistema carcerario di non gravare esclusivamente sulle casse dello Stato. Di lavoro da fare nelle carceri ce n’è tanto, così come ce n’è in tanti altri ambiti sociali, soprattutto quello del volontariato.

Le stesse attività artistico-ricreative sono altrettanto importanti per il reintegro sociale, come ha confermato la felice esperienza di alcuni detenuti del carcere di Rebibbia nel film con cui i fratelli Taviani hanno vinto l’Orso d’Oro al Festival di Berlino nel febbraio del 2008.

Sono modelli esemplari di rieducazione del condannato nel paese di Cesare Beccaria, il cui spirito è stato pienamente raccolto nel nostro dettato costituzionale: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» (art. 27).

In questo manuale, necessario per capire “quello che c’è dentro”, gli autori riflettono sul sistema carcerario e lo fanno dando voce ai detenuti. Le lettere, le istanze presentate al comandante della Casa circondariale di Taranto diventano materiale di studio, di confronto, verso cui orientare l’attenzione del lettore.

La drammaticità delle parole, in alcuni casi, viene accompagnata dalla leggerezza, dal sorriso di un desiderio, di un sogno, di una necessità che può sembrare trascurabile per la vita di una donna o di un uomo libero ma che nel contesto della detenzione assume la salienza del bisogno, della gratitudine, della consapevolezza che cambiare sia ancora possibile. Il libro prova ad entrare all’interno del sistema carcerario per renderlo più comprensibile, per spiegarlo a chi non conosce le sue trame, la sua organizzazione, la sua burocrazia, il lavoro quotidiano di tanti operatori. Il cittadino libero deve sapere, deve cercare di capire per potersi sottrarre egli stesso all’indifferenza, alla facile condanna.

Il dialogo ad un certo punto del libro si allarga e non sono più due voci ma tante, tutte diverse eppure simili, così sorprendentemente vicine all’essere e ai bisogni delle donne e degli uomini liberi.
Perché dialogare si può. Perché, forse, si deve.

Possiamo dire che l’Italia è uno dei paesi europei con il più alto tasso di sovraffollamento a cui corrispondono da una parte la volontà di ampliare il numero di posti disponibili, dall’altra, e si tratta della minoranza, di accedere con maggiore facilità alle misure alternative. Quanto queste due posizioni nel tempo hanno provato ad incontrarsi e non a prevaricarsi?
Quanto il tempo trascorso in carcere riduce la sensibilità rispetto all’afflittività della pena carceraria? Quanto la durata della carcerazione incide sull’effetto di intimidazione della pena detentiva?

Forse è da queste domande, ma più ancora dalla necessità di porsele, che una riflessione reale dovrebbe partire sull’intero sistema carcerario italiano. C’è bisogno di un senso più profondo di responsabilità. Il carcere deve poter essere il luogo dove riflettere su se stessi, dove ritrovare la voglia di esistere e darsi delle regole. Chi è recluso è una persona. Chi garantisce la sicurezza deve sentirsi persona tra le persone.

Luogo di detenzione e luogo di lavoro, il carcere non può essere inteso solo in chiave coercitiva. Per quello che resta, per quello che ancora può essere, per quello a cui ognuno di noi è chiamato a contribuire. (MMB)

dalla Prefazione di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso

Nicola Gratteri è un magistrato e saggista italiano, dal 2009 procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Dal 2016 procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro. Attualmente è uno dei magistrati più conosciuti della dda. Impegnato in prima linea contro la ’ndrangheta, vive sotto scorta dall’aprile del 1989.

** Antonio Nicaso è un giornalista, saggista e consulente italiano. È componente dell’International Advisory Council dell’Istituto italiano di Studi strategici Niccolò Machiavelli (Italia) e del Comitato scientifico del “Nathanson Centre on Transnational Human Rights, Crime and Security”, all’Università di York (Canada). Nel 2012 è stato nominato codirettore del Centro di semiotica forense presso il “Victoria College” dell’Università di Toronto. Insegna presso la Scuola Italia del Middlebury College a Oakland, California e alla Queen’s University a Kingston, Canada. È autore di numerosi bestseller internazionali.



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