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Donne e lavoro, quanto contano gli stereotipi?

Data: 02/07/2014
Categoria: Altre News

Sui dati relativi all'aumento della disoccupazione femminile, la consigliera regionale di parità Molendini spiega il peso delle dimissioni a seguito di maternità

Aumenta fino ad arrivare al 12,6% il dato relativo alla disoccupazione nel mese di maggio. Una tendenza preoccupante che sfiora il record storico toccato a gennaio e febbraio del 12,7 e che supera il 12,5% di aprile e il 12,1% di maggio 2013. A condizionare pesantemente il dato, l'aumento delle donne disoccupate, il cui dato tocca il record del 13,8% il più alto dall’inizio delle serie mensili (gennaio 2004) e dal secondo trimestre 2000.

Donne e lavoro, quindi, ancora un binomio controverso, soprattutto al Sud. «Parlare ancora oggi di Pari opportunità delle donne e quindi di lavoro e autodeterminazione – spiega Serenella Molendini, consigliera di parità Regione Puglia intervistata nel programma radiofonico “Ma chi ce lo fa fare” curato dalla redazione del CSV Salento – non è semplice in un contesto come quello pugliese, come quello del Sud ma anche della Provincia di Lecce. In realtà nel 2013 abbiamo addirittura un'inversione di tendenza rispetto al dato dell'occupazione femminile. Fino al 2012 eravamo riusciti a risalire una china ed è aumentato il nostro dato di circa il 2% portandoci a un dato complessivo del 31,5%. Il 2013 ha segnato veramente un tonfo e la crisi si è manifestata in tutta la sua drammaticità non solamente in Puglia ma in tutto il Mezzogiorno e nel 2013 abbiamo perduto circa 2 punti di percentuale. Per cui, dal 2009 in cui eravamo intorno al 29%, siamo ritornati nel 2013 a quel dato del 2009 quindi perdendo quel terreno favorevole. Contemporaneamente sale la disoccupazione femminile».

Un quadro nero segnato, in molti casi, da alcuni fenomeni “culturali” che segnano la vita di molte donne, come il dato sulle dimissioni dal lavoro a seguito di maternità. «Non si tratta sempre di dimissioni in bianco – spiega Molendini – ma sono quelle che vengono effettuate dalle donne a seguito di maternità. In Italia sono circa 23.600 le donne che si dimettono a seguito di maternità nel 2013. Il Puglia sono 2098, il dato più alto tra le Regioni del Mezzogiorno. Se volessimo definire il profilo di una donna che si dimette potremmo dire che di solito è una donna molto giovane, intorno ai 30-35 anni. In genere lavora da poco tempo, tra i 3 e i 5 anni quindi non ha una forte fidelizzazione con l'azienda che di solito è una piccola, piccolissima azienda al di sotto dei 15 dipendenti. L'azienda più strutturata, più grande, riesce, infatti, a trovare delle soluzioni migliori. Nello stesso tempo, ha già un figlio, quindi è già alla seconda maternità e ha già delle difficoltà reali di incompatibilità tra vita e lavoro. L'azienda solitamente è piccola ma opera in settori che sono tipici dell'occupazione femminile, ovvero servizi e commercio. Soprattutto il settore commerciale è estremamente a rischio, è il problema delle cosiddette “commesse” che dovendo lavorare senza straordinari, con paghe in nero preferiscono avere l'indennità di disoccupazione anziché ritrovarsi a lavorare dalla mattina alla sera, compresa la domenica e tutte le festività». 

Ma perché donne così giovani scelgono di rinunciare alla propria attività lavorativa? «Il dato interessante – continua la consigliera regionale – è la motivazione per cui le donne si dimettono: a parte l'incompatibilità tra vita e lavoro, un dato molto forte è che si dimettono perché vogliono occuparsi in maniera esclusiva dei figli. Qui c'è tutto l'elemento dello stereotipo, per cui noi continuiamo a lavorare sull'autodeterminazione delle donne, sul fatto che le donne devono essere sempre più istruite perché le donne che lavorano nei servizi e nel commercio sono quelle con più bassa scolarizzazione. La donna laureata, istruita, logicamente si dimette di meno. Dobbiamo lavorare tanto, le azioni fatte in questi anni stanno sicuramente favorendo una maggiore autodeterminazione delle donne ma c'è la necessità non solo che dalla Regione intervengano atti e stimoli affinché questo avvenga, ma soprattutto che nei piccoli Comuni si faccia una seria informazione». 



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