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Ama il tuo sogno

Data: 19/11/2012
Categoria: Un libro a settimana

Yvan Sagnet racconta la vita e la rivolta nella terra dell'oro rosso. Le vicende dei braccianti di Nardò del 2011 narrate da chi guidò lo sciopero contro i caporali

Quello che Yvan Sagnet ha scritto nel suo libro “Ama il tuo sogno. Vita e rivolta nella terra dell'oro rosso” (Fandango Libri, 2012) è né più né meno un pezzo della storia delle lotte contadine della Puglia. Come la storia delle rivolte dell’Arneo. Come la storia dei coraggiosi braccianti di Cerignola che, con Giuseppe Di Vittorio alla testa, rifiutarono nei tempi bui del secolo scorso di togliersi il cappello davanti ai padroni. La storia di Yvan e dei braccianti di Boncuri non va separata da quella gloriosa vicenda che portò all’emancipazione dei contadini pugliesi e in alcune zone all’affermarsi di uno spirito “di classe” e di un radicamento delle Camere del Lavoro come comunità nelle quali la debolezza si trasformava in forza. Ne è la continuazione, all’interno della continuità che nella storia della Puglia rappresenta lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, del ricco sul povero, del forte sul debole. Una storia che le vicende di Nardò, avvenute nel 2011, ci dicono, non ha trovato soluzione di continuità. Le ragioni potrebbero essere molte, rintracciabili nell’arretratezza del comparto agricolo, nelle dinamiche demografiche globali, che forniscono ogni anno decine di migliaia di braccia forti e disperate, nell’arretratezza e la sfacciataggine di un sistema “padronale” che non vede – in agricoltura come in tanti altri comparti produttivi – altra soluzione se non la riduzione dei costi della manodopera come strumento con il quale presentarsi sull’arena della competizione globale.Volenti o nolenti, la storia di Yvan e dei braccianti di Boncuri ci dice che l’armamentario retorico un po’ demodé, le categorie che i moderni storcendo il naso definirebbero abusate, le chiavi interpretative di fenomeni ai quali la società pugliese e salentina ha smesso di voler vedere ma non ha smesso di soffrire, sono attuali più che mai. Perché la storia di un ragazzo che parte dall’Africa verso l’Europa inseguendo un sogno e che finisce per scivolare in una paurosa regressione lungo lo stivale, fino in fondo alle terre del sole e della nuova schiavitù, fino ai campi di pomodori, simbolo non più innocente di una immagine di genuina abbondanza, è una storia che lo riconduce, in fin dei conti, verso una povertà e una meschinità della condizione umana che pensava, come altri compagni di viaggio, di aver lasciato alle spalle, sull’altra sponda del Mediterraneo. E che la Puglia pensava di aver lasciato nel Novecento. E invece no. Lo spettacolo agghiacciante della baraccopoli di Nardò, la crudeltà del dominio dei caporali su ogni aspetto, fisico e psicologico, della vita dei braccianti, la battaglia misera per una paga dignitosa – e le risse, le minacce subite, i pestaggi e le menzogne infamanti diffuse ad arte – danno ancor più sostanza a quella prima impressione vissuta da Yvan, nel momento in cui raggiunge il campo di Boncuri: di trovarsi davanti a “una versione più povera triste di qualsiasi situazione africana avessi incontrato nella mia vita”. Da lì comincia un percorso di emancipazione, che, presto, da personale diventa collettiva e che con molta sofferenza porta i ragazzi di Boncuri a organizzare il primo sciopero dei braccianti africani in Italia. Uno sciopero degli “invisibili”, di quelli che nel torrido agosto dell’estate salentina, a tutti, per molti e molti anni prima che Yvan e i suoi compagni mettessero piede nel Salento, aveva fatto comodo non vedere.Leggendo “Ama il tuo sogno”, insomma, si possono ritrovare le ragioni di una battaglia che non ha età, né tempo. Una battaglia che oggi combattono gli immigrati e che fu combattuta da alcuni tra i padri della Costituzione italiana. Una battaglia che oggi anche grazie al senso di sacrificio, ulteriore, di un giovane camerunense nato nel 1985 può nutrirsi e amplificarsi, conquistarsi visibilità grazie ai mezzi di comunicazione, che in quei giorni dell’agosto del 2011 e per i mesi successivi squarciarono il velo dell’ipocrisia sbattendo in prima pagina quel Salento mostruoso così diverso dalle cartoline.C’è altro, e più importante, però, della comunicazione verso la massa di utenti, lettori e telespettatori che riuscirono a indignarsi. Ed è la comunicazione viso a viso che Yvan e i suoi compagni di lotta riescono a costruire tra loro: un lessico antico e al tempo stesso immortale grazie al quale i braccianti di Nardò prendono coscienza, socializzano i loro problemi, decidono di reagire. Smettono di sentirsi soli di fronte alla forza soverchiante della controparte (i caporali, gli imprenditori agricoli, in alcuni casi le istituzioni) e decidono di mettere da parte la paura di non farcela. In quel momento vincono, al di là del risultato (che necessita, a guardare la raccolta del 2012, di altro tempo, di ancora più tenacia) che in quei mesi concitati riescono a ottenere.Una battaglia sindacale, dunque, ma anche umana. Una battaglia per i diritti, certo, ma anche per la dignità. Una battaglia che oggi non è più solo dei braccianti di Nardò, a cui va dato il merito di averla cominciata, ma dell’intero Salento. Che, a partire da questi mesi si trova nella condizione di combatterla per non farsi trovare impreparato, come avvenuto già la scorsa estate, di fronte al ripresentarsi puntuale del fenomeno del caporalato nelle campagne di Nardò. 



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