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Vivere la città

Data: 27/04/2011
Categoria: Un libro a settimana
Costruire i luoghi della condivisione, recuperare spazi urbani affinchè si crei una trama forte e solidale di esperienze comuni che coinvolgano i cittadini e li rendano città
"La città non è disegnata, semplicemente si fa da sola. Basta ascoltarla, perchè la città è il riflesso di tante storie". » con questa citazione di Renzo Piano che si apre e che si spiega il senso di questo libro, a cura di Paolo Crepaz, fatto per costruire il cittadino, ovvero la città come sua collettività. Perciò la città va raccontata non tramite i suoi edifici, i suoi negozi o i suoi monumenti, ma attraverso le persone, quelle persone che questi luoghi abitano, frequentano, vivono, rendendo così vivo quel tessuto architettonico che diviene più della semplice pietra. Eppure chi descrive la vita in città oggi si sofferma sulla "prossimità distante" di queste vite: si è vicini, ma non ci si conosce. La conoscenza è visione in greco antico. E allora non si conosce, perchè non si guarda. O perchè non ci si guarda. Così l“esperienza del Movimento dei Focolari di cui fa parte l“autore - ci invita a guardare con occhi diversi, a guardarci. Per conoscerci. La città non è altro che la somma dei tanti individui che la popolano, forse, senza viverla. Recuperare spazi urbani, vuol dire anche recuperare spazi di condivisione tra quelle individualità affinchè si crei, come nel tessuto urbano, una trama forte e solidale di esperienze comuni che accomunino i cittadini e li rendano città. Ma una città è fatta anche di qualcosa di intangibile: è fatta di sfide. Piccole, grandi, quotidiane, personali, collettive. Sfide che per essere affrontate e superate hanno bisogno dei cittadini, tutti, dal primo all“ultimo, perchè l“impegno è la testimonianza di questa capacità di vedere, non di guardare, l“ovvio, confrontarsi con la città, avendo un cuore universale, un cuore capace di dialogare con tutti. Una città fatta di relazioni umane responsabili non è una città ideale. Ma un ideale di città. Una città che ama, che sa amarsi perchè riconosce l“uomo nell“altro, anche attraverso l“esempio di Chiara Lubich, incarna una nuova socialità, prendendo i concittadini come amici, allargando lo sguardo, scegliendo gli ultimi, conoscendo così la città nella propria storia, al fine di mettersi a suo servizio, offrendo se stessi al prossimo. In tale maniera non si vedranno più condomini "a colori", perchè abitati da genti di etnie diverse, ma solo un condominio di persone, di amici, tinteggiandolo del solo colore della fiducia. L“umanità di oggi, chiamata ad affrontare sfide sempre più globali e sempre più decisive, deve disegnare la città allora come il luogo del "noi", come la base strutturale dell“ascolto dell“altro e del dialogo con esso, così da trasformare le sfide in accordi, le tensioni in soluzioni. L“antropologia della crescita della città è quella della condivisione, anche storicamente. Il messaggio dei Focolari testimonia ancora una volta questa visione, mettendo al centro l“uomo. Cioè l“altro.


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