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“Servi”, il Paese sommerso dei clandestini al lavoro

Data: 16/11/2009
Categoria: Un libro a settimana
Nell'ultimo libro di Marco Rovelli la voce dello sfruttamento di tanti uomini e donne immigrati
Si chiama "Servi", e completa una triade. Una piccola Divina Commedia dove non c'è paradiso, ma solo inferni: prima erano i Centri di permanenza temporanea (Lager Italiani, Rizzoli, 2006), poi le morti sul lavoro (Lavorare uccide, Rizzoli, 2008). Oggi è il "Paese sommerso dei clandestini" a venire raccontato da Marco Rovelli, già cantante - prima con i Les Anarchistes, poi da solo con l'album 'Libertaria' - e insegnante in un liceo di Massa. Con "Servi" (edizioni Feltrinelli), lo scrittore scende di nuovo nella terra dei dannati. "Se sono qui ad ascoltare storie come queste - scrive Rovelli - è perche in esse leggo la mia (...) queste immagini perfette di sradicamento le porto con me, in questo viaggio, che mi fa fare un passo sotto, nel paese sommerso". Noi che lo abbiamo accompagnato in una di queste tappe, sappiamo che il lavoro della penna di Rovelli è preceduto da quello di occhi e cuore. A Cerignola, come in ciascuno dei viaggi compiuti per l'Italia, possiamo testimoniare che certe storie, per raccontarle, l'autore prima le osserva, poi le condivide. Bisogna trascorrere qualche giorno con Marcella, donna ivoriana che gestisce un bar nella campagna foggiana, per parlare la lingua dei servi. O per dare voce a chi non l'ha. Africani, rumeni, polacchi, marocchini: Kojolì, Mircea, Caterina, Monsef. Sono uomini e donne sfruttati e trattati come schiavi, una comunità sommersa la cui condizione trascende le etnie: "Rumeni e polacchi sembrano bianchi, ma è Dio che ha sbagliato il colore della pelle", dice Marcella. Un crogiuolo di popolazioni approdate in Italia per lavorare nei luoghi più derelitti della nostra penisola: nei latifondi del sud Italia come nei cantieri di Milano e Torino. Da irregolari, la terra riservata loro è solo quella dove raccogliere pomodori. O quella da impastare per fare cemento. O, ancora, quella d'asfalto dove prostituirsi. I servi raccolgono pomodori che non mangeranno, costruiscono case che non abiteranno. Raccontano storie che nessuno ascolterà. A meno che non vengano registrate, assorbite e restituite da chi si è applicato ad esse con scrupoloso impegno, producendo un lavoro documentato quanto quello di un giornalista d'inchiesta, ma dipinto con la ricchezza e lo stile del narratore vero. "Servi" si apre con l'unico possesso che questi uomini hanno: le mani. "Quelle mani che hanno da dire e non hanno parola, quelle stesse mani mute che sorreggono le mie mentre battono sui tasti del computer; le mie mani che parlano, e provano a forgiare una parola che sia in grado di poter far vedere quelle mani che soffrono ciò che gli altri dicono". Sulle loro mani, e sulle loro braccia, si regge l'economia del sommerso in Italia, un Paese dove il lavoro nero ("anzi, nerissimo") rende più che altrove. Ma ad un prezzo, quello delle violenze e dei soprusi, dei ricatti dei caporali, dei documenti ritirati dal padrone, delle paghe da fame, delle morti silenziose. Come in ogni altro lavoro, Rovelli correda il libro con un'appendice dove espone, dati alla mano, alcune tesi che rovesciano la tesi proposta all'immaginario dalla retorica del potere. L'immigrazione clandestina non è un'emergenza, un evento epocale - dice l'autore - ma un fenomeno storico, con una sua evoluzione e un suo futuro. Chi la presenta come tumore sociale compie un'operazione di propaganda. Il Rapporto sulla sicurezza rivela che nella popolazione carceraria italiana gli irregolari sono il 33 percento (rispetto a una popolazione di stranieri regolari e irregolari del 7 percento). Il libro smonta l'assioma "clandestino-criminale". Come? Interpretando i dati. La maggior parte degli irregolari è entrata legalmente, ed è rimasta sul territorio oltre la scadenza del visto o del permesso di soggiorno. I reati compiuti dagli irregolari diminuiscono in occasione delle sanatorie, a dimostrazione della volontà dell'immigrato, una volta "emerso", di far di tutto per non perdere il proprio status. Gli irregolari compiono in maggioranza piccoli reati, e le pene sono più basse rispetto a quelle comminate agli italiani. Gli irregolari non fruiscono di pene alternative, come l'affidamento ai servizi sociali o i domiciliari: perchè non hanno un domicilio stabile o una famiglia che li ospiti. Il libro si chiude come si è aperto: con le mani. Dei clandestini ci si serve perchè sono invisibili, senza diritti. Clam-des-tinus, dal latino "clam", ciò che sta nascosto, e "die", giorno. Ciò che sfugge alla luce. Dei clandestini ci si serve e non lo si dice. "Se una mano dà scandalo, la si tagli. Quanta parte dell'Italia oggi occorrerebbe amputare?".


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