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Servizi Sociali: il Salento a più velocità

Data: 15/05/2009
Categoria: News CSV Salento
Presentato dal Csv Salento il primo studio critico in Puglia sugli effetti dei Piani Sociali di Zona. A quattro anni dall'avvio del processo, attivato il 57,8% dei servizi
Una provincia disomogenea, frammentata. » il Salento dei servizi sociali, quello in cui non manca l'esempio di buone prassi, ma che deve soprattutto imparare dai propri errori per raggiungere un obiettivo primario: garantire ai propri cittadini l'accesso e la fruizione dei servizi sociosanitari, calibrati in base ai bisogni e alle situazioni di disagio che il territorio stesso esprime. Questo, in linea generale, il quadro che emerge dallo studio realizzato dalla redazione di Volontariato Salento, che ha cercato di fare il punto sui servizi sociali e sociosanitari erogati e su quelli ancora da attuare, seppur programmati in Puglia dai Piani Sociali di Zona a partire dal 2005. Un dato fa riflettere, su tutti: degli oltre 46 milioni di euro erogati dalla Regione Puglia tra gli ambiti della provincia di Lecce per il periodo 2005-2008, a fine 2007 risultava speso appena il 13,5%. E ad oggi, a quattro anni dall'avvio dei Piani di Zona, dei 508 servizi programmati, calcolati sui nove dei dieci ambiti della provincia di Lecce (Campi Salentina escluso) ne sono stati attivati 294, quindi il 57,8%. Ad oggi si stima che il totale complessivo delle risorse impiegate sia molto prossimo ai 33 milioni di euro, che corrispondono al 66% di tutte le risorse programmate. Nelle risorse programmate oltre ai trasferimenti della Regione si trovano le risorse di cofinanziamento dei Comuni, le risorse Asl, quelle di altre istituzioni etc. Dove stanno le responsabilità, chi deve rispondere di questi ritardi? Dal punto di vista normativo, nonchè sul fronte delle risorse a disposizione, così funziona il sistema: parlando di norme, la Regione Puglia ha predisposto legiferando con la legge regionale 19/2006 i pilastri per far sì che i servizi sociali e sociosanitari siano garantiti in maniera omogenea, in linea con quanto prevede la legge quadro nazionale 328/2000, per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. In termini di risorse, lo Stato annualmente stabilisce in Finanziaria quanto verrà assegnato al Fondo sociale, che viene erogato a ciascuna Regione. Le Regioni, in base alle normative regionali, erogano le risorse ai Comuni, in particolare per quanto riguarda la Puglia ai Comuni capofila, cioè quelli che sono sede dei distretti sociosanitari. A questo punto i Comuni, nel rispetto della programmazione dei Piani Sociali di Zona, spendono questi soldi attuandoli in servizi sociali e sociosanitari, che in Puglia possono avere valenza d“ambito o comunale. Ma i problemi sorgono nel momento in cui, come emerge dall'indagine, i livelli essenziali di assistenza cioè quelle prestazioni di natura sanitaria e sociosanitaria che devono essere garantite a tutti i cittadini non risultano presenti in modo omogeneo sul territorio. Critiche le situazioni degli ambiti di Lecce, Casarano e Martano, dove non sono stati attivati segretariato sociale e pronto intervento sociale, e tardano a partire anche i servizi di assistenza domiciliare integrata e assistenza domiciliare sociale. Tra i livelli essenziali di assistenza il Servizio Sociale Professionale, quello che in parole povere conosciamo come l'Assistente Sociale comunale, evidenzia una mancanza cronica di personale addetto, sebbene già in parte colmata con l'attivazione della riforma del welfare pugliese. Complessivamente sono 89 gli Assistenti Sociali della provincia di Lecce tra personale di ruolo e convenzionato, su una popolazione complessiva di 787.639 abitanti (vale a dire un assistente sociale ogni 8.800 abitanti circa) e con una media di circa 9 Assistenti sociali per Ambito territoriale. Dallo studio risulta un ammontare complessivo di appena 823 ore settimanali di servizio erogate dagli ambiti, vale a dire 11 ore pro capite per assistente sociale, ancora troppo poche per poter garantire servizi e prestazioni rispondenti a tutti i bisogni dei cittadini. Nell“ambito di Galatina invece, in cui i servizi essenziali funzionano da quasi un quinquennio nei vari comuni, si è previsto a supporto anche un sistema di welfare leggero per Adi (assistenza domiciliare sociale e Ads (assistenza domiciliare sociale), con l“ausilio del mondo del volontariato. Un ambito, questo, che si distingue come reale "buona prassi" proprio per lo stile di governance, il lavoro in team, l'utilizzo delle tecnologie. Quali le aree di maggiore intervento? Per numero di servizi programmati nei nove ambiti rilevati, la prima area d'intervento è quella della disabilità (con 77 servizi programmati). Ma sul totale dei 294 servizi ad oggi di fatto attivati, il numero maggiore (51) si concentra nell'area minori, non perchè il territorio presenti un'emergenza sociale in questo settore, ma perchè qui ricadono gli interventi indifferibili per obbligo di legge e per semplicità di erogazione delle prestazioni. Nella faticosa strada per qualificare il sistema di welfare nei servizi alla persona pesa, inoltre, l'incidenza dei trasferimenti economici, che tendono a creare dipendenza dal sussidio pubblico. Si riscontrano soprattutto negli ambiti di Nardò, Martano e Maglie, mentre Casarano spicca quanto a servizi, destinando a questi il 90% delle risorse. Problematica è poi la tendenza allo "spacchettamento" (più servizi con una dotazione finanziaria inferiore, come nell'ambito di Martano), specie se non accompagnata da un'analisi profonda sulla reale natura delle azioni messe in campo; così come critica è la logica di una gestione associata spesso solo formale per i servizi a valenza d'ambito, cioè rivolti ai cittadini dell'intero ambito territoriale a prescindere dal comune di appartenenza. Proprio questo tipo di gestione, nata per dare risposte ai bisogni emersi dal territorio, spesso non riesce invece a superare la logica campanilistica, continuando ad amministrare i fondi secondo criteri difformi da quanto stabilisce la legge. Dall“inchiesta emerge che nella provincia di Lecce l'intero sistema dei servizi sociosanitari stenta a decollare pure per una serie di carenze culturali e strutturali che condizionano la piena integrazione tra servizi sanitari e servizi sociali. Certo, gli strumenti legislativi non hanno aiutato in tal senso. Se sul fronte sanitario la normativa nazionale ha individuato (attraverso decreti legislativi nel '92 e nel '99) i livelli essenziali di assistenza, per il sistema sociale si sconta un forte ritardo da parte del governo nazionale che non ha portato ad oggi ad individuare i livelli essenziali di assistenza sociale, provvisoriamente definiti dalla Regione Puglia proprio per colmare questa carenza. I disallineamenti nella programmazione delle politiche sociali e di quelle sanitarie dovrebbero affievolirsi proprio in questi giorni, in cui la nuova programmazione dei piani sociali di zona collimerà con i piani attuativi locali delle Asl. Intanto, in questi anni non sono mancate le asperità in un dialogo difficile, spesso impossibile, tra Asl e Comuni. Un rapporto sofferto da entrambe le parti, tanto che qualcuno degli operatori intervistati arriva a sottolineare che "l'interlocutore privilegiato dovrebbe essere la Asl ma non parliamo la stessa lingua". La percezione più diffusa e reciproca è quella di avere a che fare con una controparte, con la difficoltà della distanza anche geografica, intervenuta dalla creazione di una Asl unica. Insomma, una Asl o troppo assente o troppo "ingerente", come a volte è stato rimproverato al Distretto di Lecce. Tirando le somme, il quadro abbozzato è poco felice. Livelli essenziali spesso non garantiti, figure professionali con un numero insufficiente di ore, suddivisione più o meno legittima di risorse economiche, difficoltà di dialogo tra interlocutori cruciali per l'attuazione e la gestione dei servizi, formazione inadeguata e assenza totale dell“associazionismo volontario nei luoghi della decisione, sono criticità che si accompagnano al bisogno di utilizzare risorse che certamente ci sono, ma che occorre gestire ponendo al centro del sistema solo i bisogni del cittadino. Quali, allora, le soluzioni? Ripartire dal dialogo, mettendo in rete le competenze, allargando le maglie della partecipazione. Per programmare davvero "dal basso" occorre che i processi decisionali siano realmente partecipati, con approcci che superino la rigida suddivisione delle competenze tra Comuni, Ambiti e Asl. Fare una concertazione che funzioni vuol dire chiamare attorno al tavolo della programmazione dei piani di zona tutte le istituzioni e organizzazioni operanti nel campo delle politiche sociosanitarie e riconoscere il ruolo chiave delle associazioni di volontariato, spesso anticipatrici dei bisogni dei cittadini e antenne attente all'intercettazione delle fragilità sociali. Solo così, puntando su politiche di attenzione e partecipazione realmente inclusive si realizza un sistema efficace e sensibile a tutte le fragilità.


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